Roberto Mosi, “L’ invasione degli storni”, Gazebo, Firenze 2012

Recensioni Bigazzi, Fontanella, Carifi, Brancale, Linguaglossa, Baldassarre, Carraroli, Moschini, Panella (Prefazione)

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A 12 anni dalla pubblicazione del libro “L’invasione degli storni”riportiamo una serie di recensioni. 10 anni orsono è stato pubblicato nella forma dell’e-book da LaRecherche, con i disegni di Enrico Guerrini :

LINK all’e-book

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IX. Michele Brancale: “Il volo degli storni nel cielo di Firenze, occasione per uno sguardo sulla città e sul dolore” - in “Toscana Oggi” 3 marzo 2012 –

“Gli storni sulle colline di Careggi, tra gli agglomerati sanitari collocati nel verde tra i viali, accompagnano il viaggio di Roberto Mosi nella selva oscura della debolezza fisica che decide del futuro e mescola i tempi, facendo avvertire dimensioni che non sono quelle consuete, quelle raggiungibili con il ragionamento «Chiudo gli occhi sulla poltrona.| Nella stanza suona il telefono, | corro a perdifiato per strade | per scale e corridoi infiniti». Sono i momenti in cui si riassume la vita, se ne scolpisce il significato e si guarda altrove. E non da soli. Mosi si sente accompagnato da una Beatrice bambina, la sorellina ritrovata. Finito il percorso nella valle, tra inferno e purgatorio, comincia il tempo di un’altra attesa, un «Nuovo cinema Paradiso» che si fa premonizione di vittoria su ogni solitudine.

L’invasione degli storni fa seguito a un altro libro che Mosi ha scritto per Gazebo: Florentia. Col senno di poi si può dire che il percorso redentivo delle Invasioni…, tutto scavato nell’interiorità, qui preventivamente abbracciava con uno sguardo colmo di umanità la sua amata, città con occhi corali. La stazione rappresenta l’acme di questa visione:

«E’ arrivato dai paesi dell est | lo stormo di uccelli migratori, | la notte dormono in stazione.| All’alba raccolgono gli averi, | nascondono i cenci fra i rami | in mezzo ai nidi dei piccioni, | sopra i chioschi delle aranciate. | Uccelli vestiti da spazzino | al mattino afferrano i sacchi. | La sera si cerca un altro riparo | più vicino ai nidi delle rondini».

La città si fa cronaca e storia. Ecco una sintesi efficace del social forum del 2002:

«Le piazze del centro, | respirano paura, | alle vetrine barriere per scudo, | sul cartello: ‘Chiuso per lusso’.| La polizia è in assetto di guerra, | gracidano le radio. | L’anello dei viali | ride di allegria dei giovani».

Ogni geografia si compone di luoghi simbolo, la città diventa richiamo, interloquisce con altri luoghi. Nelle «Colline di un altro mondo» Mosi, attraverso il racconto di un altro, si porta in Etiopia, nella guerra del ‘36. E’ un testo duro e sensibile, da leggere quando si punta a rabbonire il fascismo in realtà vivaio di massacri | … mercenari del sangue bruno,.| camicie nere italiche, crudeli cuccioli di cesari morti» per usare le parole di Mandelstam) o si parla con leggerezza di conflitti rapidi e chirurgici, guardando le luci in tv e senza osservare quello che accade sotto il cielo. Nel gorgo c’è un bambino che chiama.

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VIII. Giorgio Linguaglossa per “L’invasione”

“Trovo che “l’invasione degli storni” sia un libro coraggioso, coraggioso perché privo di orpelli retorici e stilistici, gli oggetti sono oggetti, hanno il loro posto sicuro, riposano come nature morte, le cose si sfogliano come le stecche di un ventaglio, una dopo l’altra… ma chi apre il ventaglio?, dove è l’autore?

L’autore sembra nascondersi dietro le quinte per lasciare piena visibilità al quadro, proprio come accade nel cinema dove il regista non è visibile eppure è presente, diffuso in ogni fotogramma; anzi, tanto più il regista è invisibile tanto più risulta presente nei fotogrammi.

Preferisco la distaccata e laconica enumerazione delle sue poesie alla formaldeide di altre più lucidate che portano con sé una nuvola di afrori e di colori, certo accattivanti ma anche stucchevoli.”

Giorgio Linguaglossa

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VII. Giuseppe Marchetti per “L’invasione”

“La realtà di una certa storia e di una maligna cronaca
che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, mi pare che sia alla
base.  Il racconto del presente assume così una doppia occasione di verifica:
è racconto, appunto, ma anche pensiero e riflessione
rigorosa sulle nostre avventura di cittadini e di uomini.”

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VI. Giuseppe Baldassarre per “L’invasione”

“ “L’invasione degli storni” è un libro audace, profondo, ben lavorato.

La tematica esistenziale, personale ed oltre, in chiave allegorica e realistica insieme: con la cura del particolare e della singola espressione.

Una narrazione che mentre si svolge mostra radici nel più profondo dell’essere, anche doloroso. Un tentativo di catarsi che avviene gradualmente, sempre più desiderata, intravista, percepita come possibile, finchè avviene.

E il tutto nella tradizione della letteratura alta, il tuo mondo che acquista significato allegorico, il tuo viaggio nell’esperienza della vita.

E’ un bel libretto, opera di maturità anche tecnica.

La prefazione di Giuseppe Panella è una lettura attenta e convincente.”

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V. Claudia Manuela Turco per “L’invasione”

Gentile Roberto Mosi,

abbiamo ricevuto il suo volumetto “L’invasione degli storni”, ancora

fresco di stampa. La ringraziamo per questo cortese e gradito dono.

La narrazione poetica ricuce per un attimo i lembi dell’eterna ferita, il dato autobiografico rende i segmenti in cui le dimensioni di vita e morte e aldilà si intrecciano ancor più pulsanti, vibranti. Le consolidate tappe di inferno purgatorio paradiso sono state rivisitate in una chiave personale che arricchisce la visione di ulteriori implicazioni, catturando il lettore dall’inizio alle fine dell’opera.

In un clima di intimità tra animali umani e animali non umani, dentro e oltre il simbolo. Mi sono venuti in mente i due cugini-lucherini pascoliani, leggendo della vita di un sol giorno (vissuta e non vissuta al tempo stesso) di Gabriella.

Ma la dimensione di malattia e morte lascia spazio anche ad altro, nella varietà di questo volumetto. Una pubblicazione interessante, che fa sentire la forza della poesia anche laddove non giunge la parola a soccorrere.

Complimentandomi per questo suo libro, la saluto cordialmente,

Claudia Manuela Turco (Brina Maurer)

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IV. Mariagrazia Carraroli:  “Appunti di lettura” per “L’invasione”

Appunti di lettura

“La trilogia dall’eco dantesca è tanto coinvolgente e forte da non permettere soste.

E incalza. E morde.

La metafora della discarica che all’inizio imputridisce ogni Bellezza, riempiendo l’aria di miasmi, ben s’addice all’invasione del male nelle cellule del corpo, così come la sintesi che la poesia riesce a compiere tra la storia con la ESSE maiuscola e l’altra, quella personale, dentro una piaga rossa languente. L’effetto sul lettore risulta quanto mai efficace ed icastico.

I versi della trilogia corrono a slalom tra luoghi esterni dai nomi che richiamano la Commedia, e ambiente interiore, tra malattia del mondo e morbo personale, mentre il cielo che accomuna entrambi è dominato da invasioni oscure e gracidii sinistri.

L’inferno è questa cupa disperazione dentro cui il poeta, guidato da eterea mano fraterna, non può e non deve soccombere.

Così l’autore risale verso racconti di speranza ( le cure mediche ) e di bellezza ( il cinema, gli Autori, i grandi Interpreti ).

A questo punto, l’orizzonte dello “ schermo “ s’acquieta. Le note sonore si fanno particolarmente dolci e suasive, mentre si spegne, luminosa, l’ultima sequenza.

I titoli di coda recano con evidenza i nomi degli interpreti principali : l’ AUTORE e la CORNACCHIA, a cui s’aggiunge la partecipazione straordinaria d’una terza, importante

presenza, quella necessaria della SPERANZA.

La penna del poeta Mosi, dalla scrittura scabra ed essenziale, non vuole in tal modo fermare il punto su uno scontato lieto fine, quanto piuttosto testimoniare un percorso di coraggio, di fatica e di fiducia nonostante tutto il buio di cui tale viaggio era circondato.

Un messaggio che tutti, forse anche i più scettici, sentono, sentiamo di avere bisogno.”

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III. Maria Pia Moschini per “L’ invasione degli storni” di R. Mosi, Gazebo Edizioni, prefazione di Giuseppe Panella.

“I racconti poetici di Roberto Mosi, racchiusi nel bel libro “L’invasione degli storni”, appaiono come un diario di viaggio , una ricerca attenta di luoghi dell’anima che appaiono come non luoghi tanto si dissolvono e si concentrano, proprio come gli storni sui cieli delle nostre città, una visitazione dell’eterno presente che fa coincidere vita e morte, in un unico grande volo.

La natura si fa leggere attraverso i dettagli, si rivela in figure simboliche : la cornacchia, gli storni stessi…volatili intelligenti, abitatori di quei campi morfici che lo scienziato Rupert Sheldrake considera modificatori della nostra mente per quella forma di telepatia che si viene a instaurare fra animali e uomo, ma si pensa anche fra natura e oggetti, e che dà origine alla mente estesa. Un dialogo infinito, un mezzo di comunicazione universale che collega il visibile con l’invisibile.

La citazione di Casetta di Tiara, insediamento umano antichissimo nel cuore dell’Appennino Tosco Emiliano, dove ancora si parla il “casettino”, un linguaggio antichissimo, appare ad un lettore ignaro come una metafora del poeta, racchiuso nel suo idioma. In questi racconti, Gabriella è avvolta dal non vissuto, la sua vita di un solo giorno racchiude tutte le ere del mondo , il possibilismo radioso dell’infinito esistere che diviene aureola, lampada votiva .

La malattia del poeta penetra invece nei contenuti poetici con immagini definite, esatte: le chiome dei pini ondeggiano oltre i vetri della finestra e l’Ospedale prende il volo, si dilata, conduce nell’Oltre. Il Cinema invece sposta i racconti nel buio di una sala popolata di fantasmi. Gli attori di un tempo dialogano con il poeta, compagni di viaggio senza tempo che si librano in un clima magico e rappresentano la vita nelle sue dimensioni polimorfiche. Il testo teatrale finale è un dialogo ironico e vivace che riassume le tematiche del libro e fa riferimento a luoghi “certi”, dove un abitante di Firenze può specchiarsi.

E’ questo libro un volteggiar di storni, un passaggio da una configurazione all’altra in modo veloce e sintetico. Rimangono negli occhi immagini naturalistiche bellissime, fortemente evocative, un libro interessante e composito che appare come uno scrigno prezioso e ricco di suggestioni per un lettore attento che ami la condivisione.”

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II. “L’invasione”, dialogo con la Cornacchia (postfazione)

Autore – Sei il primo personaggio che appare sulla scena della Valle dell’Inferno, il primo atto de L’invasione degli storni, indaffarato e un po’ agitato.

Cornacchia – Mi piace la parte. Sono un animale solitario, si dice intelligente, linguacciuto. Sono anche un po’ mago, mi piace la cabala e gioco volentieri con i numeri.

A. – Sembra che ti diverta.

C. – Ma certo! Non sai, nel tuo caso, la faccia buffa che avevi quando sei arrivato, dopo che sei caduto nel labirinto che congiunge la città alla Valle.

A. – Sembri innamorata di questa Valle, nascosta fra i monti dell’Appennino, incavata come dal colpo di lancia di un gigante.

C. – Sì, mi piace stare qui. La mia voce è potente, cra, cra, cra. Rimbomba contro le pareti, l’eco rimbalza in tutte le direzioni, sembra il gracchiare di un branco di cornacchie, una cornacchiaia, si dice: non mi sento più sola. Il fondo della Valle - negli anfratti e nelle gore del torrente - è pieno di cianfrusaglie, dei resti scenici lasciati dalla Storia. E poi ci sono le discariche di rifiuti pieni di bocconcini. Devo dire, però . . .

A. – Che cosa?

C. – Negli ultimi anni c’è stato un impazzimento generale. E’ stata scavata a fianco della Valle un’enorme galleria per i treni veloci. Si è violentata la terra e ora molte sorgenti sono all’asciutto, si fanno battute di caccia per uccidere gli animali del bosco. E’ giunto poi fino alla Valle l’eco dell’attentato ai Georgofili, a Firenze. Mi presi un bello spavento, le penne sul dorso sono diventate grigie. Il Gigante dell’Appennino, nel Parco di Pratolino, si svegliò dal sonno di secoli. C’è un’esplosione di follia generale che non ha niente a che vedere con la follia innocente di quel poeta famoso di Marradi.

A. – L’hai conosciuto?

C. – L’ho visto diverse volte, vestito di pelli di pecora. L’ultima volta passò in compagnia di una signora, sul sentiero in alto che porta a Casetta di Tiara.

A. – Perché mi hai lasciato uscire dalla Valle dell’Inferno?

C. – Ho conosciuto la tua storia e ho capito che il tuo viaggio doveva continuare. Gabriella, la tua musa ispiratrice, mi aveva raccontato tutto.

A. – Conosci le altre tappe?

C. – Sì. Gli storni me ne hanno parlato.

A. – E cosa ti hanno raccontato?

C. – Gli storni che abitano sulle colline di Careggi, dalle parti di Via del Purgatorio, ti hanno visto dietro i vetri della finestra dell’ospedale nei giorni della malattia. Ti hanno visto precipitare sul fondo e poi rinascere a una vita nuova.

A. – I racconti volano! Ti lascio ora ai tuoi calcoli, la fila dei nuovi arrivati diventa sempre più lunga.

C. – Sì, mi sono lasciata prendere dalle chiacchiere. Un’ultima cosa. Gli storni che abitano le colline di Bellosguardo, vicino all’arena estiva “Chiar di luna”, ti hanno visto la sera arrivare al cinema e immergerti nel sogno di Nuovo Cinema Paradiso e di tanti altri film. Devi tornare a trovarmi con un sacco di racconti, di storie di film, di versi. Il tuo è un viaggio alla ricerca della speranza e la speranza è contagiosa.

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I  La Prefazione di Giuseppe Panella a “L’invasione degli storni”

Il nuovo libro di Roberto Mosi parte da uno spunto narrativo di Italo Calvino sul volo degli storni (“L’invasione degli storni”, in Palomar,1983):

«Nell’aria viola del tramonto egli guarda affiorare da una

parte del cielo un pulviscolo minutissimo, una nuvola d’ali che

volano. Si accorge che sono migliaia e migliaia: la cupola del cielo

ne è invasa. Quella che fin qui gli era sembrata un’immensità

tranquilla e vuota si rivela tutta percorsa da presenze rapidissime e

leggere”.

La nuova Raccolta, che segue i libri “Nonluoghi” (2009) e

“Luoghi del mito” (2010), è una trilogia poetica che descrive un

viaggio nel mondo contemporaneo, ormai degradato e senza centro,

che parte dalla Valle dell’Inferno, luogo poetico e soprattutto

campaniano per eccellenza, per proseguire nella Via del Purgatorio

e raggiungere il Nuovo Cinema Paradiso.

Nell’Inferno della radura del Mugello (provincia di Firenze), gli

animali dimostrano tutta la loro perplessità circa il destino dell’uomo

così come Gabriella, musa ispiratrice e novella Beatrice, indica la

via:

«La cornacchia sfoglia / le pagine, scuote la testa / mi spinge fuori dalla valle. / La cascata sbarra il sentiero / l’acqua scende fragorosa. / Salto tra le onde, sui massi / in cerca della via d’uscita. / Scopro la grotta oltre il salto / dell’acqua, Gabriella mi porge / la mano: “Dopo la valle / scoprirai il tempo dell’Attesa”»

Nella Valle dell’Inferno al posto dell’armonia del passato e della

ricomposizione delle contraddizioni dei giorni nostri, predominano le

scaglie e i frantumi della civilizzazione presente che distrugge e

inquina, invece che purificare separando ciò che dura da ciò che

deve essere distrutto, ciò che è fatto per servire da quello che è

puro prodotto del profitto. L’Inferno è dunque questo, l’Indistinto, il

luogo nel quale tutto è mescolato e il puro è tratto nel gorgo

dell’impuro:

«Congestione di rifiuti urbani / nelle discariche a cielo aperto, / i topi si tengono per la coda / fanno festa gabbiani in volo / gatti impigriti dal grasso. / Ogni rifiuto giunge alla meta / differenziato per contenitore, / la Coscienza divide i rifiuti. / Umido organico: scarti / di cucina, erbe del prato. / Carta e cartone: giornali, / libri, fumetti, quaderni. / Plastica: bottiglie d’acqua, / involucri, piatti, sacchetti / Vetro: vasetti, brocche, / specchi, lampade, bicchieri. / Mondo virtuale: baci, amore, / passione, sentimento, emozione»

L’Inferno è il non luogo del consumo e della minaccia, della

disarmonia tra la realtà sognata e il progetto globale che la nega in nome di una smodata e forsennata corsa al profitto: dunque, la

negazione di una vita armoniosa. autentica.

Il Purgatorio è una Sala d’Attesa dove si scontano i peccati sotto

forma di malattia. Il luogo della sofferenza, della ricerca di una

guarigione che si fa aspettare infliggendo sofferenza e disagio a chi

ne è la vittima spesso incolpevole, spesso inconsapevole, sempre

timorosa e schiacciata dal male:

«Nella Sala d’Attesa l’odore / dell’alcol, il battito del tamburo / la pelle secca della lingua. / Folla nella Sala d’Attesa / la porta aperta sul

Reparto, / il gioco degli scacchi, / per pedine la vita e la morte. / Passi

sulla sabbia tra miraggi / evanescenti, il Tumore / tesse il tempo

dell’Attesa. / Il maglio colpisce la facciata / abbatte la parete di rosso / un boato invade l’ospedale. / Tra le gru e le escavatrici / sopravvive solo il Reparto”

Ed è nel Reparto che si consuma l’Attesa fatta di squallore,

sofferenza, assenza; tra le sue mura fatte di gesso e di lacrime si

cerca se stessi e ci si accinge a rinnovare la propria dimensione più

profonda per essere di nuovo capaci di vivere e di giungere a quel

Paradiso fatto d’illusioni e di felicihpim0546tà che è la Fabbrica dei Sogni. Nel

Reparto incombe il Ragno che tesse la tela del destino, che

scandisce il passare del tempo, che annota e trattiene i passi di chi

vorrebbe fuggirne ma non può.

Chi ci riesce, infine, si slancia alla ricerca di qualcosa – Nuovo

Cinema Paradiso - che prima, nel Reparto, gli era stato negato e che

solo ora prende consistenza – ed è “la materia di cui sono fatti i

sogni”:

”Suona la mia canzone, / Sam. Come a quel tempo”. / Implora dallo

schermo, / lo sguardo di Ingrid, vago il suo sorriso. / “Canta: As Time

Goes By”. / Ripeto le sue parole, / seguo Gabriella nel film. / Sono alle

spalle di Bogart / sulla pista dell’aeroporto, / sento le parole dell’addio. // La mia mano non stringe / Gabriella, la poltrona è vuota»

“La vita è fatta d’illusioni e di sogni proiettati su un telone che

s’illumina della gioia immensa dell’immedesimazione con l’altra

faccia della Luna. Il Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi dall’altra

parte. Mosi – il commento di Giuseppe Panella nella Introduzione al

libro - prova a raccontarci com’è andato il suo viaggio dall’Inferno

al Paradiso, dal mare dell’immondizia allo schermo translucido della

coscienza: la sua poesia è tutta qui, resa immobile e, pur tuttavia,

agitata dalla forza del desiderio di volare. Quando ci riesce, allora,

si “illumina d’immenso”.

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XII. C. Bigazzi: “L’invasione degli storni”, un viaggio nella speranza - Recensione “Semicerchio”

“Per ispirazione e struttura, la ‘trilogia’

di Mosi si presenta come una contemporanea

rivisitazione della Commedia

dantesca che ambisce ad un disegno

universale e allo stesso tempo ad una

marcata connotazione fiorentina. Un percorso

ascensionale che, tripartito nelle

sezioni Valle dell’Inferno, Via del Purgatorio,

Nuovo Cinema Paradiso, dà vita a

un affresco a forti immagini, giocato tra

mimesi di luoghi reali, citazioni letterarie

ed incontri con personaggi e simboli,

nella ricreazione visiva/vissuta di un patrimonio

acquisito e comune. È il viaggio

di speranza e significato da parte di un

uomo che osserva, registra e testimonia

quella frattura conflittuale tra umanità ed

ambiente che l’impegno poetico è chiamato

a sanare, ma che il ‘maglio della

Storia’ pare riconfermare ad ogni passo.

Nella prima parte, la valle dell’Inferno, sorvegliata dalla vigile Cornacchia, altro non

è che la postmoderna discarica del mondo,

o come scrive Giuseppe Panella nella

Prefazione «il non-luogo del consumo e

della disarmonia»: l’immagine altrimenti

positiva del passaggio degli uccelli migratori

si riflette sul degrado della comunità

speculatrice, in una paludosa congestione

dalla quale tra i miasmi affiorano mostruose

presenze alla coscienza, tra reale

e virtuale, tradizione ed espressionismo;

anche il ritmo sembra rallentare al peso

di alcuni giudizi sulla storia recente.

Si passa quindi all’atmosfera umbratile e

alla più scarna precisione del linguaggio

della parte centrale, ovvero il bianco inesorabile

«Tempo dell’Attesa» scandito tra

le squallide mura di un purgatoriale Reparto

oncologico, nel quale l’unica linfa è

la chemioterapia e il paziente è un provvisorio

homo viator osservato in silenzio

dal Ragno che tesse la tela degli umani

destini.

Poi la malattia sembra vinta e,

sempre con la guida di Gabriella, novella

Beatrice coronata di luce, si conclude

l’ascesa salvifica: come sullo schermo di

un Cinema scorrono in tripudio uno dopo l’altro fotogrammi luminosi e ‘trasfigurati’.

E qui, nella fucina dove «Appare il senso,

la forma, / il fuoco abbraccia la creta, / l’opera

è pronta per brillare…», approda l’epilogo

di un cammino pensoso ed umano

che non rinuncia a stemperare i mortali

vizi nelle immortali virtù dell’arte. Mentre

anche le presenze naturali, gli uccelli, si

fanno parte integrante della Commedia

in una sintesi che ricompone a scrigno il

cosmo di Mosi: «Nei nidi appesi alle gronde

/ riposano i racconti del mondo, / la

testa sotto le ali».

(Caterina Bigazzi)

Semicerchio nn. 48-49 2013, pag. 231

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XI.  Luigi Fontanella per “L’invasione degli storni”: “Versi, questi di Mosi, delicatissimi, pieni di speranza, e al contempo indelebili, scolpiti nel tempo”

.

“Mosi, poeta fiorentino di delicate permanenti sfumature (permanenti perché incidono e sedimentano nella psiche del lettore sensibile) ci offre un altro gentilissimo libro dopo il memorabile Aquiloni.

La bella immagine che compare sulla copertina (suggestiva fotografia di Simone Guidotti) dà subito un segno dell’assunto del libro, e, giustamente, nell’ottima Prefazione di Giuseppe Panella, viene subito indicato un altro quanto affascinante referente letterario: l’indimenticabile passo del Palomar di Calvino nel quale il personaggio di fronte alle ondate degli storni, che con ampie volute oscurano di tanto in tanto i nostri cieli, prova apprensione.

Ed è sotto lo stemma dell’Interrogazione che si snoda questo “viaggio” del poeta dalla Valle dell’Inferno alla Via del Purgatorio fino al “Paradiso” della realtà presente che però si nutre del proprio passato, come già ci ha insegnato un altro grande scrittore (William Faulkner).

E a fare da “guida” ispirativa per questo viaggio, un po’ come – fatte le debite differenze – avviene con Beatrice per Dante, è la piccola Gabriella, sorella di Roberto, morta dopo un giorno di vita. E’ a lei che l’autore dedica questo vibrante libretto (la dedica stessa è già di per sé un verso: “A Gabriella, il respiro, il volo di un giorno”).

Versi, questi di Mosi, delicatissimi, pieni di speranza, e al contempo indelebili, scolpiti nel tempo, come quelli collocati a suggello finale del “Purgatorio”:“Lascio l’ospedale, corro / nella strada in discesa, l’aria / accarezza la pelle arrossata. / Gabriella mi guida, /pedalo leggero nella città, / la nuova Sala d’Attesa.”

Luigi Fontanella

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X. Roberto Carifi per “L’invasione” - “Poesia”, aprile 2012

” Roberto Mosi vive a Firenze. E’ stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana. Ha pubblicato diverse raccolte di versi, molti articoli e ioere di saggistica. E’ redattore della rivista fiorentina “Testimonianze”, fondata da Ernesto Balducci.

Ora Roberto Mosi ha dato alle stampe L’invasione degli storni (Gazebo), un bel libro preceduto dalla prefazione del filosofo e poeta Giuseppe Panella che scrive: “La vita è fatta di illusioni e di sogni ,

l’altra faccia della Luna. Il Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi dall’altra parte. Mosi prova a raccontarci come è andato il suo viaggio dall’Inferno al Paradiso, dal mare dell’immondizia allo schermo translucido della coscienza: la sua poesia è tutta qui, resa immobile e, pur tuttavia, agitata dalla forza del desiderio di volare”.

La poesia di Mosi è alta e sublime, e L’invasione degli storni è un libro da non dimenticare.

L’ultimo chiarore scompare

l’ombra sale dalle strade,

sommerge le cupole,

le tegole dei tetti,

inghiotte il volo delle piume.

Nei nidi appesi alle grondaie

riposano i racconti del mondo,

la testa sotto le ali.

Roberto Carifi in “Poesia”, aprile 2012, pag. 77.

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