L’incontro si è tenuto martedì 10 ottobre 2023
Dopo il saluto del presidente Franco Margari, con il coordinamento di Annalisa Macchia, sono intervenuti:
Roberto Mosi “La figura di don Milani”
Sandra Gesualdi “Don Milani, le vocazioni”
Teresa Paladin “Lettera a una professoressa”
Umberto Zanarelli “La musica come strumento di Dio”
Registrazione dell’incontro LINK
Cimitero di Barbiana, tomba di don Lorenzo Milani - Omaggio di Roberto Mosi
* * *
10 ottobre 2023 – Ricordando Don Milani – La figura di don Milani
Intervento di Roberto Mosi
Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nato a Firenze il 27 maggio 1923 in viale principe Eugenio 9 da Alice Weiss, 28enne, e da Albano Milani Comparetti, di 10 anni più vecchio, autorizzato ad aggiungere al cognome proprio quello del bisnonno senatore del Regno. Lui e lei, entrambi di ascendenza ebraica, di illustri famiglie. Il padre Albano e i suoi tre fratelli sono fiorentini e possidenti. Nipoti del senatore, cattedratico, filologo importante, vivono agiatamente perché hanno ereditato una vasta proprietà agricola a Montespertoli. La madre Alice è cresciuta a Trieste: il cugino Ottocar sposa una nipote di Italo Svevo, il cugino Edoardo era stato allievo di Freud; James Joyce, insegnante alla Berlitz di Trieste, è di casa nella famiglia Weiss. Queste le origini di Don Milani, un prete famoso perché scomodo, controcorrente, animato da un’attenzione rigorosa alla parola del Vangelo.
Una figura complessa quella di Don Milani che confinato nel 1954 nella sperduta parrocchia di Barbiana nel Mugello, trovò proprio fra quei poveri ragazzi di montagna il senso e l’amore del riscatto verso gli ultimi, attraverso l’istruzione. Questa sera abbiamo il compito di avvicinarsi a questa complessità partendo da punti di osservazione che sono propri della nostra comunità di ricerca culturale e artistica rappresentata dal Circolo degli Artisti Casa di Dante.
Fra le molte celebrazione e iniziative dedicate al Centenario della nascita del parroco di Barbiana, credo che abbia un preciso rilievo la pubblicazione del numero della Rivista Testimonianze “La lezione di don Milani fra memoria e futuro”, realizzato con la collaborazione del Comitato nazionale, presieduto da Rosy Bindi, che offre utili strumenti per comprendere quella lezione.
Nell’introduzione al volume, il direttore Severino Saccardi richiama i “destini paralleli” di Milani e Balducci, segnati da percorsi diversi, anche se alla fine destinati ad incontrarsi e ad incrociarsi. Ci dice: “Vivevano di opposti “sensi di colpa”, Balducci si sentiva “un traditore” della sua tribù di povera gente amiatina, per essersi incamminato nel mondo privilegiato dei chierici e degli intellettuali. Don Milani sentiva gli anni della sua giovinezza in un ambiente colto e privilegiato, come gli anni dell’oscurità e dell’errore, da riscattare con la prossimità ai più poveri, agli ultimi degli ultimi.”
Un motivo mi sembra centrale nello scritto sulla Rivista di Rosy Bindi, presidente del Comitato nazionale per il Centenario: la convinzione che la grande attenzione che viene riservata a Don Milani oltre i confini ecclesiali è anche il frutto di “una strumentalizzazione da parte della stampa liberale e comunista , che ne sottolineava il profilo contestatario , di prete in rotta con le gerarchie, critico verso il mondo padronale e borghese.” Don Milani ha sempre tenuto a sottolineare che “il servizio agli ultimi, ai poveri più poveri, come i piccoli figli di operai di Calenzano e dei contadini di Barbiana, è stato il suo modo di servire la Verità, di rispondere a quella chiamata che aveva trasformato il rampollo di una delle famiglie più ricche e laiche di Firenze in un apostolo della parola. Il primo compito del prete è quello di farsi capire, di aprire le orecchie e la lingua di un popolo fatto di “sordomuti”, perché possano finalmente sentirsi liberi di scegliere. Per don Milani fare scuola significa riscattare la dignità dei poveri, renderli consapevoli dei propri diritti, capaci di tener testa al potere, ma è un modo, come ha ricordato Papa Francesco di “risvegliare l’umano per aprirlo al divino.” La conclusione di questa riflessione è che “rimuovere questa dimensione spirituale e pastorale per fare del priore di Barbiana solo un paladino dei diritti di cittadinanza, significa non capire l’essenza della sua testimonianza.”
Un’operazione culturale di rilievo è arrivata a compimento in vista del Centenario, che agevola la comprensione della figura di don Milani, consente di avvicinarsi meglio alla complessità e attualità dei suoi insegnamenti. Mi riferisco alla pubblicazione nei Meridiani Mondadori – due volumi - di tutte le opere di don Lorenzo Milani, nell’edizione diretta dal professore Alberto Melloni: l’impresa è stata resa possibile grazie al lavoro compiuto presso l’ Archivio Milani, che è parte della Fondazione per le scienze religiose di Bologna, nato su impulso della madre Alice Milani Comparetti; ne parla sulla Rivista Federico Ruozzi, professore all’Università di Reggio Emilia. Si tratta di una raccolta straordinaria di documenti, di lettere, di testimonianze, fondamentale per sviluppare e tenere aggiornata la ricerca.
Fra le molte celebrazioni, sappiamo che recentemente si è tenuta al Teatro La Pergola, nell’ambito delle manifestazioni per il Centenario, un incontro di studi, per tre giorni, fra dibattiti, spettacoli, proiezioni cinematografiche, dal titolo quanto mai significativo: “L’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi”, una frase ripresa dalla “Lettera a una professoressa”. Gli organizzatori hanno affermato che la frase è stata scelta per ricordare che nell’estetica di don Milani c’è in primo piano una scelta etica: in un tempo che sembra dominato dalla logica del nemico da abbattere, respingere, la lezione di don Milani ci appare come una sfida di coraggio e di speranza.” In questa estetica scopriamo, sfogliando le pagine dell’Opera Omnia dei Meridiani, vi è la strada intrapresa da don Lorenzo di farsi apostolo della parola ed anche artista della parola. Egli non pensa all’autore che si compiace dell’eleganza del suo linguaggio, è vicino a chi trova la parola giusta per mettersi in relazione con gli altri, abbattere i muri, superare le differenze, riscattare la solitudine di chi è tenuto ai margini della società.”
Lo scritto introduttivo all’Opera Omnia di Alberto Melloni rappresenta una guida preziosa. Ci ha sorpreso in un primo momento, e poi ne abbiamo compreso tutto il valore, la sua affermazione riguardo alla scrittura di don Milani: “Don Milani entra di diritto nel canone in fieri del Novecento letterario italiano grazie a una precisa scelta stilistica che oggi davanti a un insieme così vasto di testi – l’Opera Omnia - appare lucida, consapevole.
Don Milani non vuole diventare un chierico detestato che guadagna pubblicità nel momento in cui il mondo a cui vuol dare la parola sta per essere fagocitato dalla lingua televisiva e dalla cultura consumistica: crede che la prosa vada scolpita levando – alla maniera di Michelangelo – e che la fede sia solo là, alla fine dell’impegno per scoprire l’essenziale. Non c’è un secondo fine nella sua scrittura se non la sottomissione al bisogno di esprimere ciò che gli preme, con una grande forza interiore. A chi legge oggi gli scritti di don Milani appare evidente che la sua non è un’operazione ideologica; non prende come riferimento la classe operaia: il riferimento è un parlante reale che gli si para davanti a Barbiana, nella subalternità del mondo contadino: egli imbocca la via che ha mostrato Pasolini, ma in senso contrario: nessun rimpianto per i valori antichi della cultura contadina, travolti dal passaggio dalla servitù della terra a quella della fabbrica, ma l’assunzione in sé di quella condizione e l’amore “folle” per la scuola. Attraverso la scuola gli ultimi possono acquistare il dominio della parola che diventa lo strumento rivoluzionario che rende possibile raggiungere la coscienza della propria dignità.